Intervista a Francesco Negro
E' online l'intervista pubblicata sul settimanale "Bel Paese" distribuito nel Salento il 29 settembre 2005.
Qui di seguito è riportata l'intervista per intero pubblicata in parte sul settimanale "Bel Paese" distribuito nel Salento giovedì 29 settembre 2005.
L'intervista è a cura di Nicola Santoro.
Ti ringraziamo Francesco per aver accettato questo incontro e questa intervista.
1. La musica è una delle arti che maggiormente coinvolge il pubblico, ma gli stessi musicisti e compositori si sentono parte del pezzo. Cosa ti ha condotto in questo panorama così stupendo, portandoti ai grandi exploit sui tasti del tuo pianoforte?
A dirti la verità non c’è qualcosa che mi ha condotto alla musica, la passione è nata con me. Ero attratto dagli strumenti musicali, in casa mi è capitato di avere tra le mani una diamonica giocattolo con cui eseguivo piccoli pezzi. Ero anche affascinato da tutto ciò che è suono fino ad approfondire filosoficamente questa passione, attratto da Jankelevitch, secondo il quale “non appena ci apprestiamo a definire il divenire, ecco che il divenire è già altro da se stesso: il divenire è essenzialmente instabile”, quindi capire la musica, vale a dire i suoni che sono intorno a me è un concetto molto più complesso. Per me più che altro è vivere la musica entrare in una dimensione spirituale, capire logicamente la musica per me è un errore, il significato di musica va oltre il logos. E’ vero che la musica coinvolge il pubblico, ma è pur vero che pochissime persone riescono ad ergersi in una dimensione spirituale. Vorrei fare una critica a tutti coloro che sono attratti dalla musica e la concepiscono come hobby, quando invece essa è un’esigenza dell’artista. Il musicista non è un mestiere, ma una scelta di vita.
2. Sul tuo sito web (www.francesconegro.it) ho visto la sezione fotogallery nel quale tu appari a pochi anni seduto assieme ad una insegnante intento ad eseguire un brano musicale a quattro mani. C’è stato qualcuno che ti ha accompagnato in questo pluriennale percorso?
Ciò che mi ha accompagnato in questo percorso è stata la passione e la mia esigenza di suonare. Sicuramente molto importanti sono stati i miei genitori che sono stati in grado di scoprire questa verve artistica che era in me. Fondamentale è stata la mia prima prof.ssa Maria Francesca Chiarello, che a soli sei anni, è riuscita a farmi amare ancora di più la musica. Oggi è difficile trasmettere cos’è veramente la musica, ora i professori tendono ad insegnare la musica come si suona, la tecnica, ma non a farla vivere. Si sente nell’aria un vero e proprio appiattimento, mostri della tecnica da una parte, ma musicisti poveri di idee dall’altra. Questo modo di fare musica sta uccidendo quest’arte.
3. Più volte ho assistito alle tue performance, ultimamente anche insieme ad altri musicisti tuoi amici. Che genere di musica suonate e cosa preferite far ascoltare al pubblico?
Cito Bruce Forman “Io suono jazz perché non amo la folla”. I miei pilastri, come due binari che scorrono paralleli sino all’infinito, sono la musica classica e il jazz naturalmente, e nel mezzo vivono generi quali il rock e la musica d’autore. A me non piace far ascoltare qualcosa al pubblico, metto il pubblico, magari dispiacerà a qualcuno, in secondo piano. Riesco a trovare nei musicisti con cui suono un’identità di vedute riguardo la musica e il pubblico.
4. Mi viene spontaneo a questo punto chiederti che reazione hai avuto alla notizia dell’uragano che ha colpito la capitale del jazz, New Orleans, tu che già avevi in mente di raggiungere questo luogo?
Il dramma non è la distruzione della capitale del jazz, il dramma vero è che sono morte migliaia di persone. Mi è capitato di visitare il sito di jazzitalia in cui era presente un articolo in cui si menzionavano i musicisti sopravvissuti, come se questi avessero la priorità di vivere e gli altri no . Proprio per New Orleans suonerò a Lecce il 25 settembre per ricordare tutte le vittime e non solo parte di esse. Magari queste manifestazione dovrebbero moltiplicarsi, non solo in occasione di eventi catastrofici, ma riguardare tutte le situazioni tragiche che avvengono nei paesi sottosviluppati.
5. Che cosa ha significato per te l’Associazione Culturale Jazz “T.S. Monk”?
Molto importante per me questa associazione perché grazie ad essa mi sono avvicinato al jazz incontrando in questo luogo amici che devo ringraziare per i consigli che mi hanno dato, aiutandomi a crescere sia musicalmente che come persona. Grazie all’associazione ho incontrato musicisti italiani e stranieri con alcuni dei quali ho avuto modo di stringere delle importanti collaborazioni.
6. La carriera musicale è sicuramente molto difficile così come lo è per tutto l’ambiente artistico, quali sono i tuoi progetti futuri riguardo la tua formazione professionale e le esperienze che ti prometti di avere?
Nel Salento trovo ci sia poca cultura jazzistica e musicale in genere e questo non ti aiuta ne ad esprimerti, ne ad avere occasioni per suonare. Trovo che neanche gli amministratori locali nonostante nel loro territorio sia presente una fiorente cultura musicale siano in grado di far fiorire questa ed altre arti. Tuttora porto avanti tre progetti: il “Francesco Negro Trio” insieme a Igor Legari al contrabbasso e Antonio De Donno alla batteria, un quartetto con Maurizio Quarta alla chitarra Dario De Giorgi alla batteria oltre a Igor Legari, il “Quartetto Photinx” con Antonio Cotardo al flauto insieme al quale portiamo avanti un progetto di composizioni di brani musicali, originalmente scritti da Antonio. Con quest’ultimo progetto accompagneremo nei primi di ottobre in provincia il sassofonista danese Martin Jacobsen e altri grandi artisti.